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Come l’ebola ha rilanciato il cinema liberiano

Testo e fotografie di François Beaurain

Testo e fotografie di François Beaurain

Bloodline
Bloodline

L’epidemia, che ha causato il blocco delle frontiere e ha reso più difficile la fornitura di dvd prodotti in Nigeria, ha paradossalmente stimolato la crescita dell’industria cinematografica liberiana.

«Motore… azione!» Con queste due parole pronunciate con voce decisa Varney D. Boss, il cui vero nome è Depasky Mulbah, dirige la sua troupe, che oggi è formata da un cameraman e due attori. Le riprese si susseguono e non ce n’è una uguale all’altra, gli attori modificano i dialoghi come se stessero improvvisando. Dov’è il copione? Senza dire una parola, Depasky si indica la testa. Questo giovane regista di 25 anni, che è anche attore e scenografo, sembra non farsi troppi problemi. Malgrado la sua giovane età, appare piuttosto sicuro di sé: il cinema è la sua vita e ha già più di venticinque film all’attivo, di cui cinque come regista.

Mulbah è un fervente ammiratore di Donald Trump, di cui apprezza il carisma e i toni crudi. Il suo ultimo film, Go Home, è una commedia ispirata alle elezioni presidenziali americane del 2017 e alle conseguenze dell’irrigidimento delle politiche migratorie che coinvolgono i numerosi lavoratori liberiani che vivono negli Stati Uniti. Il film racconta le disavventure di due rimpatriati liberiani, Freddy e Varney, rispediti nel loro paese d’origine dall’oggi al domani.

Ebolawood

La troupe cinematografica di Go Home è composta dal regista/attore/sceneggiatore Varney D. Boss e da un cameraman.

Ebolawood

Jalloh è il Totò del cinema liberiano. Famoso per le sue smorfie e le sue interpretazioni dell’immigrato Fulani in Liberia, lo si può trovare sulle locandine dei film e sulle pubblicità che promuovono una birra locale.

Se Freddy stenta a ritrovare la fiducia dei suoi genitori, snobbati volutamente per anni, il secondo constata con amarezza che il denaro guadagnato con molta fatica e inviato a casa nel corso di molti anni di duro lavoro è stato letteralmente mangiato dalla sua famiglia. Percorso da questa satira sociale e con budget di poche centinaia di dollari, il cinema di Mulbah stona all’interno di una produzione dominata da film d’azione e magia nera.

 

L’ebola

All’altro estremo di Monrovia, Abdul-Karim Sheriff, 28 anni, gira una scena d’azione tra le rovine di un vecchio hotel di lusso per il suo nuovo film, campione d’incassi locale il cui budget tocca quasi i 5.000 dollari. Il protagonista è Killer Bean, la star in ascesa del cinema liberiano, un vecchio campione di karate passato al cinema e fervente ammiratore di Jean-Claude Van Damme. Bloodline, questo è il suo titolo, propone un viaggio nel mondo dei trafficanti di droga riprendendo i codici dei film americani ma in un universo tipicamente liberiano.

Da un giorno all'altro,
le vendite di dvd si sono decuplicate

Da un giorno all'altro, le vendite
di dvd si sono decuplicate

Ebolawood actor
Ebolawood actor
Ebolawood actor
Killer Bean

Proprio come Jean-Claude Van Damme, Killer Bean ha praticato arti marziali per molti anni prima di iniziare la sua carriera cinematografica. Oggi è considerato come la «most selling face» in Liberia, ancor prima di Frank Artus, attore e produttore liberiano molto popolare in Africa occidentale.

Proprio come Jean-Claude Van Damme, Killer Bean ha praticato arti marziali per molti anni prima di iniziare la sua carriera cinematografica. Oggi è considerato come la «most selling face» in Liberia, ancor prima di Frank Artus, attore e produttore liberiano molto popolare in Africa occidentale.

Killer Bean

Proprio come Mulbah, Sheriff fa parte di questa giovane generazione di registi che, in modo del tutto inaspettato, hanno visto le loro carriere lanciate dall’epidemia di Ebola che ha devastato l’Africa dell’Ovest.

Imponendo la chiusura delle frontiere alla fine del 2014, l’epidemia ha di fatto interrotto le importazioni di dvd provenienti dalla fortissima industria nigeriana – «Nollywood», che ha all’attivo varie centinaia di film l’anno – e ha offerto una boccata d’ossigeno a una produzione locale che, dopo diversi anni di attività, fa ancora fatica a sopravvivere. Obbligando le persone a restare a casa, la paura del contagio non ha fatto altro che amplificare la domanda e, da un giorno all’altro, le vendite di dvd si sono decuplicate.

Il pubblico ci ha preso gusto
a guardare i film in krio,
il creolo locale

Il pubblico ci ha preso gusto a guardare i film in krio, il creolo locale

Ebolawood actress

Michelle Ella Van, a riposo tra una ripresa e l’altra. Nel film Bloodline interpreta il ruolo di una sicaria.

Ebolawood actress

Il cinema in Liberia sembra essere un’affare da uomini. Le donne sono relegate a pochi ruoli secondari.

Michelle Ella Van, a riposo tra una ripresa e l’altra. Nel film Bloodline interpreta il ruolo di una sicaria.

Ebolawood actress

Il cinema in Liberia sembra essere un’affare da uomini. Le donne sono relegate a pochi ruoli secondari.

Ebolawood actress

Attori liberiani che lavoravano in Ghana e Nigeria sono rientrati in patria per approfittare di questa manna. Sulle loro orme è nata tutta una generazione di attori e registi che hanno portato la produzione liberiana a un picco di duecento film prodotti durante il corso dell’epidemia. Una cosa mai vista nel paese.

La Liberia è stata dichiarata «libera dall’Ebola» nel settembre del 2015, con l’autorizzazione alla riapertura delle frontiere e all’importazione di film. La fase di euforia del cinema liberiano, ormai soprannominato «Lollywood», si è chiusa definitivamente. Ma il pubblico ci ha preso gusto a guardare i film locali in krio, il creolo locale. Più vicina alle preoccupazioni e alla sensibilità dei liberiani, la produzione cinematografica regge malgrado la pirateria e i problemi di finanziamento.

Pian piano l’ambiente si è professionalizzato e nel 2017 è stato inaugurato il primo canale internet interamente dedicato a Lollywood. Qualche produttore ambizioso non esita a girare film in inglese con l’obiettivo di esportare le sue produzioni in Ghana e Nigeria.

Ebolawood
Ebolawood crime scene

Serie TV: Malawala Balawala

A distanza di quasi 30 anni, la gente per strada riconosce ancora il volto tondo e gioviale di Kekura Kamara, protagonista e regista della prima serie televisiva liberiana Malawala Balawala («Io non ci credo, ma voi dovreste»). Trasmessa nel 1988 e ispirata a una leggenda locale, il successo di questa produzione è arrivato fino in Sierra Leone, Costa d’Avorio e Guinea. Il soggetto? Un fabbro che si crede onnipotente sfida un genio costruendo la sua bottega su un luogo sacro. Per vendicarsi, il genio gli lancia un maleficio che lo rende cieco e lo costringe, nel corso di trentacinque episodi, a subire ogni sorta di disavventura.

Sebbene il cinema liberiano
sia ancora ai suoi esordi,
ha ormai preso vita e partecipa
alla ricostruzione
di un paese traumatizzato
da due guerre civili

Sebbene il cinema liberiano sia ancora ai suoi esordi, ha ormai preso vita
e partecipa
alla ricostruzione
di un paese traumatizzato da due guerre civili

Ebolawood scene
Ebolawood scene
Kekura Kamara

Una guardia all’interno della vecchia sala di proiezione del Cinema Sheila a Monrovia. Il cinema ha chiuso all’inizio degli anni ’90 e oggi la città non ha posti dove proiettare film. Questo è uno dei motivi per cui i dvd sono diventati così popolari.

Nel 1990, fuggendo dalla guerra, Kekura Kamara si lasciò tutto alle spalle per rifugiarsi in Costa d’Avorio. Dopo il saccheggio degli archivi della televisione nazionale e del suo studio, pensò che la sua serie fosse perduta per sempre. Fu solo nel 2009, durante un viaggio negli Stati Uniti, che scoprì per caso un dvd pirata. Il venditore si rifiutò di cederglielo e Kamara dovette riacquistarlo per poterlo ripubblicare. Ed è con nostalgia che rievoca, oggi, gli anni Ottanta. Allora aveva dei veri mezzi di produzione, e una troupe di attori professionisti a sua disposizione. Nulla a che vedere, secondo lui, col cinema attuale.

Ma la riedizione di Malawala Balawala e il rinnovamento del cinema liberiano gli consentono di immaginare il seguito di questa serie leggendaria e di fare pace col suo passato. Perché, al di là delle centinaia di migliaia di morti, i 14 anni di guerra civile hanno distrutto anche una parte della cultura e della memoria di questo paese. E sebbene il cinema liberiano rimanga complessivamente agli albori, è decisamente risorto e partecipa alla ricostruzione di un paese traumatizzato da due guerre civili.

Francois Beaurain, artista poliedrico, fotografo e scrittore, vive e lavora a Rabat, in Marocco. Porta avanti studi e ricerche riguardanti il cinema in Africa. A dicembre 2021 è uscito il suo libro Cinémas du Maroc

Articolo tradotto da Carmen Bruscella.
Si ringraziano Gianluca Galante e Mirco Roncoroni
per l’editing del testo in italiano.

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